domenica 13 gennaio 2013

Minuta città

Vesuvio - © Diego Rossi 2013


Minuta città
È muto il vulcano, là ―
Appena innevato

Un gabbiano nel cielo
In un lento planare

Sul libro il palmo
Resta a segnare il passo
A San Matteo.

Monete nel cappello
Tra piedi insudiciati.

E fortuna che l’aria
Profuma già di seta
e di violette.

Il gattino la insegue 
nella folla dei passanti.

Quando t’ho persa?
Sol’ i dischi cantano 
Da tanto, d’allora.

Pioggia di giugno, scendi
a bagnarle il vestito!

Ma il serpente,
passata la stagione,
Non muta pelle.

Pomodori in scatola
Ruotan sulla pedana.

Luce lunare,
Rossa come l’autunno,
debolissima

Non teme il freddo questa
piccola mosca, danza.

[Stefania Nardone]

Caravaggio - San Matteo e l'angelo (1602)


3 commenti:

  1. Uno shisan molto ben fatto. I ku si susseguono in maniera molto naturale e le dialettiche mon/ji e shin/so sono ben distribuite, a comporre un buon andamento, armonioso e gradevole.
    Molto mon, l’inizio, soprattutto il waki, molto bello, in cui l’infinito del verbo restituisce bene la funzione di sospensione tipica di questa posizione. Il kigo dell’hokku è molto sfumato: presumibilmente è inverno, perché la neve, senz’altro, è kigo invernale, ma quell’“appena” suggerisce un clima più mite e, dunque, si deve dedurre che si tratti di inizio o fine inverno. È una bella immagine di Napoli, con ogni probabilità, o di un’altra città che abbia un vulcano. Il “gabbiano”, comunque, si collega proprio a quest’immagine, continuando, per keiki, l’istantanea sul golfo. “Gabbiano” è kigo invernale. In realtà, è sempre molto problematico il ricorso agli animali in funzione di kigo, perché di solito bisogna specificarne la tipologia, le abitudini, etc. (ad es.: sta migrando? Sta in letargo? È la stagione degli amore? Etc.). Nel nostro caso, il gabbiano può creare un po’ di confusione, perché in giapponese dà luogo a diversi kigo a seconda della tipologia. Il gabbiano comune, “Larus ridibundus”, vive in Europa e in Asia ed è molto diffuso. In questo caso è un ottimo kigo invernale, poiché in inverno i gabbiani sono molto socievoli, si avvicinano all’uomo e spesso si vedono anche nei campi arati. Spesso, infatti, i gabbiani migrano in inverno, cercando zone più temperate, mentre in primavera ritornano alle loro terre d’origine. Così, un gabbiano migrante sarà kigo primaverile. Questa specie si chiama in giapponese “miyakodori” oppure “yurikamome” (ユリカモメ). Viceversa, il tipico gabbiano giapponese si chiama “umineko” (“gatto del mare”, 海猫) e corrisponde al “Larus crassirostris”, cioè al gabbiano codanera (conosciuto anche come “gabbiano giapponese”, appunto). In questo caso, il kigo è autunnale. Dal momento che non è specificato altrimenti, si suppone quindi, che il gabbiano di cui stiamo parlando sia quello comune. Dunque, è invernale.
    Il daisan, poi, si collega in modo molto so, per suggestione: il volo del gabbiano è assimilato per analogia alle ali di un angelo, che si mostra a San Matteo nella descrizione di quella che è un’iconografia tipica (v. http://www.francescomorante.it/pag_2/210bd.htm). Il ricorso ai santi è problematico, perché, nel mondo cattolico, ad ogni santo corrisponde un giorno specifico del calendario, quindi si rischia sempre di formare un kigo, anche non voluto. In effetti, il santo in sé non dovrebbe costituire kigo, però non è infrequente riferirsi per metonimia al santo per indicarne il giorno, anche nel linguaggio parlato (per cui diciamo: a San Silvestro, all’Immacolata, a Santo Stefano etc. per indicare i giorni ai quali fanno riferimento). L’espressione “a San Matteo”, quindi, rischia di avere una doppia funzione, qui evidentemente non voluta. (A proposito di santi, può essere utile questa pagina: http://worldkigodatabase.blogspot.it/2006/07/saints-memorial-days.html).

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  2. Il passaggio primaverile è ben strutturato: da un ku piuttosto shinso (il mendicante che, per analogia, si collega alla figura del santo ― San Matteo essendo, peraltro, originariamente esattore delle tasse: http://it.wikipedia.org/wiki/Matteo_apostolo_ed_evangelista) introduce, per opposizione, la “fortuna” del verso successivo, molto so. Dal tono ji del maeku si passa a uno piuttosto monji (o anche jimon, per il tono colloquiale dell’affermazione). Lo hana no joza è evitato e la primavera è introdotta dalle “violette”, per quanto il “profumo di seta” sia l’elemento forte (che eleva molto il tono) del ku. Nel bozzetto vivido, un buon jimon, del verso successivo, il “gattino” (ovvero il micio, “koneko”, in giapp.: 仔猫) è kigo primaverile. Non è specificato cosa insegua, questo gattino, ma si suppone che sia qualcosa nell’aria, da cui il collegamento, piuttosto so, col ku precedente.
    Questo inseguire evoca poi un amore sofferto, perduto, in un ku ipermetro molto ji ma molto lirico che presenta, tra l’altro, un ottimo toriawase. Seguono due ku estivi (“pioggia di giugno” e “serpente” sono i due kigo). L’invocazione alla pioggia continua ancora questo tono ji che tende al patetico e che qui si carica di un certo erotismo. Questo ku sembra abbastanza forzato, in verità, perché non è molto chiaro l’intento di questa invocazione (è un’imprecazione? È una benedizione?) e sembra ondeggiare tra un tono poetico piuttosto sostenuto e artificioso ed il patetico e colloquiale che lo rendono, in definitiva, stucchevole (ma forse è stucchevole proprio il rimpianto dell’amante). Non a caso, il collegamento successivo, abbastanza so, è forse suggerito dalla natura infida di questo amante che, in fondo, come il lupo che perde il pelo ma non il vizio, si presenta come un serpente dalla lingua biforcuta che non cambia pelle, cioè non cambia le sue abitudini probabilmente adulterine. Questo ku sentenzioso sul serpente, che a questo punto dello shisan è abbastanza efficace, si può definire un jimon. Pure, risulta un po’ oscuro e, forse per la stessa natura del serpente, ambiguo: “hebi” (蛇), serpente, è senz’altro kigo estivo ma la muta della pelle (che avviene a inizio stagione) qui manca anche dopo che è “passata la stagione”. Allora siamo in autunno? Difficile dirlo, anche perché “passata la stagione” può tanto riferirsi alla stagione della muta quanto alla “stagione” per eccellenza, l’estate. Possiamo dedurne, alla fine, che si tratti della tarda estate ma il lettore è messo un po’ troppo in condizione di dover “studiare” il ku, per decifrarlo (e forse questa è la maggiore pecca di questo shisan).
    Il serpente dà luogo poi ad uno tsukeku molto gustoso, decisamente ji, in uno yotsude che gioca sul doppio significato dei “pomodori in scatola” e della “passata” nonché sulla “pedana” che si snoda come un serpente lungo la catena di uno stabilimento. Attenzione, però, perché i “pomodori” sono un classico kigo della tarda estate. In genere, però, le conserve indicano l’autunno. Ma, in questo caso, gli scatolami non danno forse luogo ad un kigo (i cibi in scatola si trovano tutto l’anno) e anzi suggeriscono proprio la tarda estate, perché è quello il periodo in cui si lavora maggiormente in uno stabilimento del genere, quando cioè si raccolgono i pomodori. A questo punto i ku estivi diventano tre, il che forse è un po’ eccessivo in uno shisan (per quanto non sia un errore). E in generale c’è una netta prevalenza di ku stagionali che sbilancia un po’ l’equilibrio complessivo del componimento.
    Il penultimo ku, uno tsuki no joza, è un perfetto mon, bellissimo e, peraltro, molto originale e ricercato. È ovviamente un ku autunnale. Il collegamento col maeku è molto tenue ed è affidato unicamente al rosso dei pomodori (a meno di non volervi scorgere un richiamo alla sfera dorata, al “pomo d’oro”, della luna ― ma forse questa lettura risulta più di cattivo gusto).

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  3. L’ageku, invece, è un po’ forzato: vuole avere un tono positivo e si concentra sull’immagine, molto ji, di una piccola mosca, che non teme il freddo. Bene: forse sarebbe stato preferibile un tono più mon (un semplice paesaggio, magari, che continuasse per keiki il penultimo ku). Ma, a parte questo, c’è un’eccessiva complicazione che rende mal digeribile questa immagine, a cominciare dal riferimento stagionale. In pratica, si accavallano tre stagioni, se non addirittura quattro, perché la mosca, che è generalmente kigo estivo, è definita piccola (quindi giovane), il che la rende kigo primaverile e, non temendo il freddo, è inserita in un contesto invernale. Ma le ultime mosche, come pure sembra essere quella descritta in questo ku, sono generalmente kigo autunnale. È chiaro che qui la dobbiamo leggere proprio in questo modo ma il lettore è veramente troppo disorientato, in questo caso.
    Nel complesso si tratta di un bellissimo shisan e già la lunghezza di questi commenti basterebbe a suggerire quanto sia ricco e denso. È, in definitiva, un componimento molto ricercato e si intravede il profondo studio che c’è dietro ogni verso. Già questo lo renderebbe un ottimo shisan. Ma forse è anche ciò che lo rende un po’ troppo cerebrale. L’obiettivo ulteriore, affinché sia perfetto, dovrebbe essere quello di “nascondere” meglio questa densità affinché, come l’acqua, risulti fresco e godibile, trasparente nonostante la quantità di minerali che pur sono presenti.

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