lunedì 7 gennaio 2013

Non un rumore

Falconiera - MPA: Pursuit of Power


Non un rumore
dalla falconiera
ci giunge ora

i piedi restan stretti
in questa fredda notte

guizzi di fuoco
stanno splendendo
sulla corona

velata è la musica
di voci e altri suoni

e ascoltano
fior di sambuco
attenti e nudi

brilla la neve sciolta
al giorno nuovo chiama

semplice andare
dal pensiero al treno
in movimento

le formiche corrono
come un nastro vivo

ah! vecchie ansie
nel tempio pronte ormai
a rinfrescarsi

sereni i bei volti
e cosce rilassate

ferma osserva:
una luna tiepida
promette gioia

ricominciano ora
dalla cesta di riso__

[Marina Nardone]

1 commento:

  1. Uno shisan caustico, dallo stile molto oscuro e sempre molto sostenuto nel linguaggio. I collegamenti sono nioizuke a tratti di difficile interpretazione e molto ricercati. Si ha qualche difficoltà a seguirlo ma, nel complesso, ne vien fuori una bella poesia, dal gusto molto ermetico.
    Sin dalle prime note, il lettore è avvolto in un’atmosfera sospesa, quasi straniante, in cui mancano dei punti di riferimento certi: a cominciare da quella falconiera silenziosa (come interpretarla? I falconi e la falconeria in genere sono kigo invernale, quando fanno riferimento alla caccia ma sono kigo primaverile con riferimento all’addestramento dei falconi) che ha un’indubbia carica metaforica. L’immagine successiva dei piedi che si stringono nella notte fredda fa pensare ad amanti che si abbracciano e si collega in maniera molto lasca all’idea della gabbia silenziosa (che suggerisce dunque la notte). I “guizzi di fuoco” del daisan si collega sempre con riferimento alla notte fredda, per odore, ed introduce l’immagine di una corona: omokagezuke legato alla morte di un Federico II, amante dei falconi? In questo caso, i piedi stretti del maeku vengono reinterpretati come metonimia dell’agonia dell’imperatore. Ma il richiamo alla falconeria è troppo forte e crea un uchikoshi no kirai. La musica velata dalle voci e dai rumori si collega evidentemente alla corona e restituisce l’immagine di una festa di paese in costume. Nello tsukeku, “ascoltano” si collega alle voci ma fa da perno in una sinestesia con i fiori di sambuco, che non costituiscono un hana no joza ma sono un semplice kigo primaverile. Così come la neve sciolta è kigo di inizio primavera e diventa nello tsukeku il paesaggio visto dal finestrino di un treno. Per analogia, le formiche costituiscono un treno in movimento in un passaggio piuttosto shin ma comunque sempre molto lasco. Allo stesso modo: il nastro vivo evoca per similitudine i nastri di un tempio buddista, al quale si collega poi la serenità ji del ku successivo. La “luna tiepida” del penultimo ku può costituire kigo autunnale, mentre più problematica è la cesta di riso: la “cesta dei semi” è kigo della tarda estate mentre il riso appena raccolto è autunnale e quindi si deve intendere come una cesta di riso fresco.
    Tutti i collegamenti sono, in sostanza, piuttosto larghi, e creano un buon dinamismo, rendendo però piuttosto difficile la lettura. Nel complesso il nioizuke è molto gradevole ma forse andrebbe più spesso sostenuto da riferimenti più espliciti. L’andamento della dialettica mon-ji è buono, con uno stile linguistico che eleva un po’ tutto il componimento ma il gusto generale evita quasi sistematicamente il puro mon, per cui sia ha, nel complesso, un buon alternarsi di monji e jimon.

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