giovedì 14 marzo 2013

Nel cielo grigio

Un gabbiano - © Diego Rossi 2013



Nel cielo grigio
Un gabbiano stanco, va ‒
Senza una meta

Enorme la distanza
Nel cielo dell’inverno

Per leghe e leghe
Sulla terra ghiacciata
Non un'anima

Silenzi imposti, freddo
E già fonde la neve …

Un suono oscuro
Di gocce impertinenti
Limpida luna

Urla di bimbi in strada
Nel vento dell’autunno

E calpestano
Promesse elettorali
Già fatte a pezzi

Vane scritte sui muri
Di un amore finito

Un bianco ibisco
Sfiorito nella sera
Quanti rimpianti!

È la memoria a breve
Che tira brutti scherzi

Sogno o son desto?
Ma dove sono andati
Quei due puledri?

C’è solo una farfalla
Nel riflesso del lago

[Gianfranco Irlanda]

1 commento:

  1. E' un componimento molto sperimentale, con molti kigo e con poca attenzione al flusso di collegamenti. Per questo, più che uno shisan, è un junicho, anche se quest'ultimo tende comunque ad avere meno kigo. Nel complesso è poeticamente valido, anche se risponde maggiormente a un gusto occidentale che non all'estetica giapponese. Un po' monotono, ma questo è difficile da evitare, con un singolo autore, soprattutto se c'è un umore dominante. Questo si vede già nell'incipit, con ben quattro ku invernali. Né ci sono mai veramente dei cambiamenti di tono: anche il cambio repentino (e necessario) di stagione non riesce a mutare le tonalità di fondo, molto cupe. Mentre i temi si alternano molto bene: le immagini naturali e molto mon sono seguite da situazioni molto vivide e concrete, urbanistiche, in una carrellata efficace. Il passaggio più complicato è verso la fine, dove alcuni elementi sono obbligati e, di necessità, si deve abbandonare quel tema di fondo che percorre l'intero componimento. Ne vien fuori, evidentemente, qualche forzatura, che pure conferisce una giusta chiosa a questo junicho. In altre parole, una più decisa rinuncia all'espressione avrebbe giovato meglio alla riuscita di questo componimento: i renku dovrebbero essere più limpidi, più impressionistici. L'espressione di sé dovrebbe essere sciolta e trasfusa in una visione d'ampio respiro. Questo è, peraltro, il maggior beneficio di questo esercizio spirituale, oltre che poetico: la rinuncia e il superamento di sé, l'abbandono dell'uchikoshi. Questo, inoltre, è il vero punto di svolta dalla scrittura alla poesia.

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