domenica 18 novembre 2012

Già le galline


Già le galline
Nel freddo del mattino
Fanno coccodè

Resta solo uva acida
Da raccogliere e loti

Ancor ristagna
L’odor del sigaro

E il vin novello
[Gabriella Galbiati]


foto di Gabriella Galbiati






3 commenti:

  1. L’hokku è decisamente ji e molto naif. È molto gradevole e sicuramente può essere accolto in un haikai; ma risulterebbe troppo ji in un renga. “Freddo del mattino” è kigo autunnale. La parentetica al secondo verso fornisce il giusto toriawase al ku, mentre tanto il “già” iniziale quanto il “coccodè” costituiscono due tagli di apertura e chiusura che fanno quasi da virgolettatura. Una possibile variante sarebbe “Stan le galline / Nel freddo del mattino / Già starnazzano”. Sarebbe meno naif ma comunque ji. Mi sembra, comunque, più efficace la versione naif.
    Il waki prosegue la giornata contadina con la raccolta di uva acida e loti, kigo autunnale. Si lega bene. Continua ad essere molto ji.
    Forse il daisan non può fare molto col materiale fornito da questa coppia di ku e quindi cambia completamente argomento. Tuttavia è un po’ troppo slegato e non si capisce veramente da dove vien fuori questo sigaro. “Ristagna” che rievoca un po’ il “resta” del waki può fungere da malcerto ponte. Il “vin novello” (necessario kigo autunnale), forse, tenta un collegamento con l’“uva acida” ma, tutto sommato, questo daisan resta troppo scollegato.
    Nel complesso, come mitsumono è carino e sarebbe anche un bellissimo passaggio all’interno di un renku, magari sulla terza facciata. Non potrebbe funzionare bene, invece, come trittico di apertura.

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  2. Io trovo che il verbo "resta" del waki faccia pensare al passato e precisamente ad un passato appena trascorso, come ci suggerisce anche il primo Ku: "già...nel mattino". E in questo senso mi pare che il passato inferito dalle tre strofe sia la notte appena trascorsa in una ricca abitazione di campagna del primo '800. La serva che la mattina presto - tanto presto da sentire i versi delle galline- si leva per sbrigare le faccende e raccogliere i frutti autunnali e che ha passato buona parte della notte a servire vino e sigari ai suoi signori, sente, rientrando in casa, quell'odore di vita lussuosa che a lei non sarà mai concesso. Trovo che l'aspetto Ji dei versi traduca in generale lo stato di chi deve accettare la realtà per quello che è e quindi il componimento mi pare traduca bene lo spirito Zen dei maestri giapponesi. Che ne dite?

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    1. Molto bella questa lettura, Stefania. Che il componimento in sé sia molto bello e sia intriso di uno spirito piacevolmente zen o, in ogni caso, dal gusto fresco e allappante come è tipico dell'haikai dello Shomon è fuor di dubbio. Né intendo sminuirlo quando dico che l'hokku è un po' troppo ji: i jiku spesso sono più raffinati e profondi dei monku e io tendo a preferirli. Il problema è che in un hokku ci dovrebbe essere un maggior livello di mon, soprattutto con la lettura che ne dai: in questo caso, infatti, entra in gioco una considerazione molto profonda sulla natura e sulle relazioni umane che ha quasi un sapore politico e che figurerebbe meglio nella seconda o nella terza facciata. Inoltre il daisan continua a costituire un problema perché si lega poco con il waki e - non a caso - tu hai bisogno di leggerlo in connessione con l'uchikoshi (che andrebbe sempre abbandonato) per poterlo interpretare. Se fosse legato meglio non ci sarebbe questa esigenza ma waki e daisan formerebbero un nuovo anello della catena che farebbe dimenticare l'hokku producendo, così, quel dinamismo che è la chiave di un bel renga. Credo che questa difficoltà, come già dicevo, sia una conseguenza di una debolezza presente nell'hokku e nel waki, che spinge inevitabilmente a sforzarsi per inserire qualcosa di originale nel daisan.

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