domenica 25 novembre 2012

Scale sbrecciate


Scale sbrecciate
Rotolano le mele
Giù nelle ceste
[Titti Tidone]

Vanno pesanti i passi
Verso casa ― la nebbia
[Maria Valeria Ferruzza]

Gonna autunnale
T’incammini gioiosa
Nel crepuscolo
[Titti Tidone]

La minestra fumante
Bolle lenta sul fuoco.
[Maria Valeria Ferruzza]



foto di Marina Nardone

1 commento:

  1. 1. L’hokku va abbastanza bene. Le mele sono un kigo autunnale. Il toriawase è un po’ incerto, però: “scale sbrecciate” non stacca veramente dall’immagine delle mele che rotolano nelle ceste (anzi si rischia di equivocare e sembra quasi le mele rotolino giù dalle scale). Sarebbe stato preferibile un riferimento alla giornata, ad esempio, una panoramica sui colli o sulla campagna etc. Inoltre, l’hokku dovrebbe essere un po’ meno legato al lavoro o al mondo umano e, in generale, un po’ più mon.
    2. Nel waki è necessario il riferimento stagionale: in questo caso è la nebbia, che offre anche un buon toriawase e rende il verso più ampio. Il collegamento sembra essere il fatto che, alla fine della giornata di lavoro, il contadino torna a casa stanco. Questo è l’effetto di un hokku non perfetto: il waki si lega a sua volta a un’immagine troppo stretta, una soggettiva, che parla ancora del duro lavoro contadino (tutto questo andrebbe evitato in apertura di un renga, mentre andrebbe benissimo in seconda o terza facciata). La nebbia che avvolge la casa sfuma un po’ questa ristrettezza ma non è sufficiente.
    3. Lo tsukeai non funziona molto bene nel daisan: il collegamento è dato dai passi, reiterati nell’incamminarsi. Una simile reiterazione sarebbe da evitare, tanto più che la gonna “gioiosa” cozza malamente con l’immagine dei “lenti passi pesanti”. In generale, comunque, sarebbe da evitare la reiterazione di concetti o parole in strofe adiacenti.
    4. L’ageku è molto piacevole. Senza kigo. Una bella immagine. Tuttavia non ha alcun collegamento con il daisan.
    In verità, il problema di questo yotsumono è che non è incatenato: ognuno va da solo. Anzi, i ku si collegano sistematicamente al proprio uchikoshi. La “gonna gioiosa” riprende più l’immagine delle scale dell’hokku che non i lenti passi stanchi del waki, mentre la minestra fumante dell’ageku ― che non a caso bolle “lenta” ― ha senso unicamente in base al ritorno a casa dei “passi pesanti”.
    La poesia, in sé, non è male. Le immagini sono interessanti. I singoli ku sono piacevoli. Più che altro, questo tentativo dimostra quanto sia difficile abbandonare tanto l’uchikoshi quanto il proprio io per incontrare l’altro/a e ascoltarlo/a nel dialogo. Ciò che vuol dire, innanzitutto, comporre un renga.

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