giovedì 22 novembre 2012

Sulla tovaglia


foto di Diego Rossi


Sulla tovaglia
un primo mandarino.
Scampanellìo.

Suona il vento pallido.
Una voce di donna?

Sembra che rida
Contro il cielo d’autunno
Santa Patrizia.

[Stefania Nardone]







 

3 commenti:

  1. L’hokku è molto ji e forse un po’ debole. L’immagine è un bozzetto di “natura morta” molto carino ma per un hokku sarebbe meglio qualcosa di più elevato. (Qualcosa di meno domestico, come “Nell’agrumeto / I primi mandarini. / Scampanellio.) Il mandarino (giapp. “mikan”, 蜜柑) è un kigo invernale: si raccoglie dalla fine di novembre fino all’inizio di aprile. È ragionevole, quindi, che “mandarino verde” (“ao mikan”, 青蜜柑), ovvero “acerbo”, “primo mandarino” (“wasemikan”, 早生蜜柑) e simili siano kigo tardo autunnali. Lo scampanellio del terzo verso è utile a produrre il toriawase.
    Il waki funziona molto bene, collegandosi all’hokku attraverso il suono del vento. “Vento pallido” è il necessario kigo autunnale: “ironaki kaze” (色無き風) significa letteralmente “vento senza colore”. Il vento autunnale può essere anche bianco, proprio perché privo di colore. In italiano, “pallido” sembra quindi funzionare perfettamente. Inoltre il vento autunnale, tipicamente, “suona”, perché soffia tra le fronde degli alberi trasportando le foglie secche, per cui si usano come kigo autunnali anche espressioni quali “aki no oto” (秋の音, “suono d’autunno”) e “aki no koe” (秋の声, “voce d’autunno”), con riferimento al vento, per cui l’espressione “suona il vento pallido” sembra abbastanza efficace. Qui, inoltre, si connette molto bene con lo scampanellio, giocando con la ripetizione della “s” (che ritorna anche in seguito) ed evocando anche l’immagine di campanelle tubolari o simili, mosse dal vento. “Una voce di donna” si inserisce bene nel quadro domestico abbozzato nell’hokku ma, attraverso la forma interrogativa, sfuma molto la scena, creando una piacevole sensazione di vaghezza in cui si avverte il suono del vento, che trasporta voci lontane. Ma la voce di donna potrebbe anche essere quella di una conoscente che sta chiamando, dopo aver suonato la campanella (per cui la domanda sarebbe: “Non avete sentito?”, “Sta chiamando qualcuno?”). Il tutto, allora, potrebbe far pensare a una scena di campagna, alla fine di un pranzo domenicale. Oppure a una cena frugale in una sera d’autunno, con l’inquietante suono del vento che bussa alla porta. Questa pluralità semantica è molto “giapponese” ed è particolarmente piacevole.
    Il daisan sfrutta bene questa pluralità per sganciare il waki dall’hokku e approfondire il riferimento alla voce di donna. Ora questa voce “sembra che rida” e, dal momento che la donna non è visibile, sembra che nell’aria riecheggi la risata argentina di una dea, ovvero di Santa Patrizia, patrona di Napoli che qui viene evocata nelle sue caratteristiche più popolari e “pagane”. Allora siamo tra i vicoli di Napoli e riecheggia la voce di una popolana, trasportata dal vento nell’ampio cielo autunnale. La ricorrenza di Santa Patrizia cade il 25 agosto. Se seguissimo il calendario lunare giapponese, sarebbe di per sé un kigo autunnale. Tuttavia, in Italia, il 25 agosto non può che essere estate e dunque è necessario usare un kigo autunnale molto diretto per evitare questo equivoco. Con “cielo d’autunno” non possono esserci dubbi e, allora, Santa Patrizia non può che essere letta nella sua qualità di protettrice di Napoli senza che vi si possa cogliere un riferimento al giorno.

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  2. Un’ultima considerazione riguarda la parola “donna”: tradizionalmente, non è permesso inserire questo termine (“onna”, 女) in un renga, se non in un senku (di mille ku). Le ragioni, per quanto difficili da comprendere, ci sono e, in primo luogo, sono legate al fatto che è troppo facile suscitare interesse ricorrendo a termini forti, come “drago”, “demone”, “orso”, “tigre” e, per l’appunto, “donna”. Che quest’ultimo sia un termine forte quanto “drago” o “demone” è legato forse alla cultura medievale giapponese che, più che essere misogina, doveva forse trovare troppo “pruriginoso” un simile riferimento, così come doveva trovare troppo “spettacolare” un riferimento al drago o alla tigre: in entrambi i casi, il veto consiste, in fin dei conti, nell’evitare “paroloni” per suscitare ammirazione, ovvero nell’evitare il cattivo gusto. È forse possibile far cadere simili restrizioni, se non altro in riferimento alla “donna” che, soprattutto in italiano, ha un’accezione molto neutra. Semmai una simile restrizione dovesse essere mantenuta, dovrebbe riguardare un termine come “femmina”, che ha un’accezione decisamente più volgare (ma anche, conseguentemente, “maschio”). Ad ogni modo, simili questioni devono essere risolte da ognuno sulla base della scelta e del gusto personali.

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  3. Ancora una nota: è molto apprezzabile il ricorso all’interrogativa nel waki e il “sembra” nel daisan. È un ottimo modo per riprodurre in italiano le espressioni di sospensione (come “ran” o “nari”) usate sovente in queste posizioni.

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