Il filo conduttore di questo mitsumono è dato dalle luci che, nel waki, rievocano la classica metafora della lampadina in testa, con un ku molto tendente al ji e abbastanza spiritoso, che decontestualizza bene l’immagine tendenzialmente mon descritta nell’hokku. L’idea che s’illumina d’improvviso diventa nel daisan la prontezza del fotografo che immortala un istante di vita. Meglio non reiterare il collegamento diretto sulla luce (già implicito, del resto, nella fotografia) con un flash notturno che avrebbe evitato un allontanamento sicuro dall’uchikoshi. E allora “ecco lo scatto!”, che si collega perfettamente con il waki attraverso un kireji (“ecco”) che comunica già da solo la sensazione dell’immediatezza, dell’improvvisa “lampadina” che si accende, in un ku monji o jimon molto efficace: ottima definizione della fotografia stessa. In questo modo, si può notare come il waki diventi un perno efficacissimo tra due ku che non hanno nulla in comune: il waki ha un collegamento molto lasco, affidato a un’associazione di termini, per quanto l’“anche” lo riavvicini molto all’hokku rendendolo quasi un collegamento semplice (perché implica un paragone diretto: “come si accendono le luci nella nebbia, così si accendono ‘anche’ lampadine in testa” - cioè: “le luci nella nebbia fanno venire in mente un’idea”). Il daisan, invece, è un perfetto shinku, quasi uno yotsuke, un “collegamento a quattro mani”, dove le “lampadine in testa” sono lette sia come metafora di un’idea improvvisa (di uno “scatto”, dunque) sia come il flash di una macchina fotografica (che, peraltro, sta presumibilmente in alto, quindi “in testa” al fotografo). Così, l’intero daisan può essere letto in due modi: o come descrizione di una fotografia o come lo scattare di un’idea o di un pensiero che sembra sospendere il tempo nell’attimo di un’intuizione.
Il filo conduttore di questo mitsumono è dato dalle luci che, nel waki, rievocano la classica metafora della lampadina in testa, con un ku molto tendente al ji e abbastanza spiritoso, che decontestualizza bene l’immagine tendenzialmente mon descritta nell’hokku. L’idea che s’illumina d’improvviso diventa nel daisan la prontezza del fotografo che immortala un istante di vita. Meglio non reiterare il collegamento diretto sulla luce (già implicito, del resto, nella fotografia) con un flash notturno che avrebbe evitato un allontanamento sicuro dall’uchikoshi. E allora “ecco lo scatto!”, che si collega perfettamente con il waki attraverso un kireji (“ecco”) che comunica già da solo la sensazione dell’immediatezza, dell’improvvisa “lampadina” che si accende, in un ku monji o jimon molto efficace: ottima definizione della fotografia stessa. In questo modo, si può notare come il waki diventi un perno efficacissimo tra due ku che non hanno nulla in comune: il waki ha un collegamento molto lasco, affidato a un’associazione di termini, per quanto l’“anche” lo riavvicini molto all’hokku rendendolo quasi un collegamento semplice (perché implica un paragone diretto: “come si accendono le luci nella nebbia, così si accendono ‘anche’ lampadine in testa” - cioè: “le luci nella nebbia fanno venire in mente un’idea”). Il daisan, invece, è un perfetto shinku, quasi uno yotsuke, un “collegamento a quattro mani”, dove le “lampadine in testa” sono lette sia come metafora di un’idea improvvisa (di uno “scatto”, dunque) sia come il flash di una macchina fotografica (che, peraltro, sta presumibilmente in alto, quindi “in testa” al fotografo). Così, l’intero daisan può essere letto in due modi: o come descrizione di una fotografia o come lo scattare di un’idea o di un pensiero che sembra sospendere il tempo nell’attimo di un’intuizione.
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