domenica 20 gennaio 2013

Fiocchi di neve


Fiocchi di neve
Si posano e piegano
Aghi di pino.

Riponi il presepe
tempo di Candelora.

Vecchie signore
entrano nel museo
a passi lenti.

Suona la campanella
professori sfiniti.

Danzano api
cercando margherite
vento d'aprile.

Panchine solitarie
coperte di petali.

Cassetti pieni
antiche monetine
storie vissute.

Sentimenti andati
rivelano gli sguardi.

Occhi lucenti
sul pontile d'estate
baci segreti.

Miagolano gattini
rincorrendo moscerini.

Luna lontana
tra le valli senti ...
profumo d'erba.

Calpestano sentieri
cercando tartufi.

[Rosalia Urna]

2 commenti:

  1. La prima cosa che balza agli occhi è l’abbondanza di kigo, sin dai primi ku. I kigo dovrebbero comunque essere usati con una certa parsimonia, sia nella distribuzione dei ku stagionali sia all’interno dei singoli ku, perché rischiano di risultare eccessivi e hanno l’effetto di “ingolfare”, per così dire, un’immagine. L’hokku è invernale, presumibilmente. Tuttavia abbiamo due kigo: “fiocchi di neve” è indubbiamente invernale (“seppen”: 雪片) ma “aghi di pino”, senza ulteriori specificazioni, è kigo autunnale. Gli aghi di pino, tradizionalmente, sono estivi quando cadono, mentre sono invernali solo quando formano un tappeto. Pino (“matsu”, 松) è un albero molto diffuso in Giappone e dà luogo a molti kigo, a seconda del contesto. L’abete, invece, che in Giappone è considerato un “cipresso cinese”, non compare nella tradizione poetica, ovviamente, ma è considerabile sicuramente come kigo invernale, essendo così legato, almeno in Europa, alla tradizione del Natale. In questo caso, l’hokku può essere, alla fine, considerato invernale, dal momento che il contesto dà una certa preminenza alla neve (anche se “fiocchi di neve” è un kigo piuttosto debole). Questa incertezza abbassa un po’ il livello di un hokku che altrimenti sarebbe perfetto: molto mon e molto efficace. Senza specificare “aghi di pino” si sarebbe potuto ottenere una soluzione molto più pulita ed elegante, magari senza il (doppio) verbo transitivo che ha un sapore molto ji: “piegato il ramo / dal peso della neve / morbida luce”, o qualcosa del genere, avrebbe avuto sicuramente un effetto molto più mon, con uno yūgen più interessante e una maggiore ricchezza espressiva che avrebbe anche potuto sfoggiare un più preciso toriawase.
    Il wakiku presenta, sostanzialmente, gli stessi difetti dell’hokku: la stessa abbondanza di kigo, innanzitutto, che risulta eccessivamente didascalica, tanto più che è accompagnata da uno stesso ricorso al verbo, qui addirittura in forma diretta, che abbassa moltissimo il tono del ku, che diventa ji a tutti gli effetti, il che sembra un vero proprio scivolone, in questo contesto. Il presepe (kigo invernale) si ripone alla Candelora (il 2 febbraio: altro kigo invernale, dunque). Non c’è allora alcuna necessità di specificare il “tempo”, tanto meno con una forzatura, che in questo caso spezza anche l’insieme del ku. Piuttosto, sarebbe stato consigliabile “sfruttare” un verso per collegarsi meglio all’hokku, perché l’unico collegamento che sembra esserci tra i due ku è l’inverno stesso: troppo poco, a dire il vero. Descrivere una scena in terza persona poteva offrire un’ottima soluzione per ricollegarsi all’hokku, abbassando il tono verso il ji e rendendo più interessante il quadretto d’insieme: “E ripone il presepe / con un po’ di tristezza”, ad esempio. Oppure, mantenendo il riferimento alla candelora, si sarebbe potuto optare per una soluzione più ampia, più mon: “tempo di Candelora / sulle case imbiancate”.

    RispondiElimina
  2. Il resto dello shisan presenta due difetti particolarmente gravi: manca una reale dialettica tra i ku, innanzitutto. Anzi sembra mancare del tutto un tentativo di collegarli tra loro e questo, se da un lato ha l’effetto di rendere questo shisan un renshi, anziché un renku, cioè un insieme di haiku messi in fila, per così dire, dall’altro rende molto difficile il compito di composizione. Questa difficoltà si vede, perché sono riconoscibili certe forzature che tentano di risolvere i diversi problemi che volta per volta ci si trova ad affrontare. Le soluzioni spesso sono miopi, proprio perché non sfruttano le enormi possibilità offerte dai vari maeku: intrecciare i ku, collegarsi al maeku, non vuol dire infatti solo un obbligo, ma il più delle volte è una risorsa, perché consente di allargare le possibilità dello tsukeku, sfruttando lo spazio semantico aperto dal maeku. Così, ad esempio, le api danzanti, in sé una bella immagine, finiscono col comunicare molto poco perché il ku si richiude in se stesso, nel momento in cui sappiamo che cercano margherite e, di conseguenza, lo stesso vento d’aprile finisce con l’essere una ridondanza (sappiamo già che è primavera, infatti). Il risultato è che si perde una ghiotta possibilità di giocare con la campanella del maeku, che potrebbe essere un fiore attorno a cui danzano le api, proprio come se fossero adolescenti eccitati da una bella giornata d’aprile. Allo stesso modo, spesso si ha la sensazione di leggere una lista di oggetti, che però non comunicano davvero delle sensazioni, proprio perché non interagiscono con i ku circostanti, e così bisogna ricorrere a tutta una teoria di aggettivi per tentare di inoculare un po’ di vita: “cassetti pieni / antiche monetine / storie vissute”, laddove le “coperte di petali” del verso precedente avrebbero potuto essere interpretate come coperte ricamate in qualche stipo della nonna: “cassetti pieni / d’un intero corredo / Tutt’una vita!”, tanto per fare un esempio (e pazienza se non rientrano magari quelle monetine che avevamo deciso di inserire: è la poesia che guida, non il poeta!). Ancora: i gattini che miagolano rincorrendo moscerini costituiscono un’immagine, in sé magari carina, ma tutto sommato scontata e un po’ povera. E non potrebbe essere altrimenti, perché è chiusa rispetto al maeku. Questo è un peccato perché il ku precedente non era per niente male e poteva fornire un ottimo appoggio: allora si sarebbe potuto parlare di gatti in amore, oppure alludervi creando una certa distanza dal maeku che però riverberasse quell’immagine in un tono più cupo, più profondo. Ad esempio: “Il miagolio dei gatti / è quasi spaventoso”, che avrebbe evitato ulteriori kigo (“gattini” e “moscerini”, entrambi primaverili), avrebbe il duplice effetto di ricollegarsi bene alla scena romantica del maeku (perché si sottintende che i gatti siano in amore), non senza una certa aspra ironia, e di introdurre una nota cupa che rende più interessante quello stesso romanticismo.
    Una maggiore attenzione ai collegamenti, quindi, avrebbe evitato di sciupare la qualità, che non manca, dei singoli ku.

    RispondiElimina